L’insostenibile falsità delle citazioni

Carlo F Dalla Pasqua
Carlo Felice Dalla Pasqua
3 min readJan 26, 2020

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Questi screenshot sono di 6 articoli che il 24 gennaio erano in home page in 6 diversi siti di informazione italiani: 3 nazionali (Corriere della Sera, Repubblica e Stampa), 2 locali (Gazzettino e Tribuna di Treviso) e un periodico (L’Espresso). Sono 6 esempi, ma sarebbero potuti essere facilmente 12, 18 o 24. Sembrano tutti diversi l’uno dall’altro, eppure hanno una cosa in comune: le frasi tra virgolette non sono state pronunciate dalle persone a cui vengono attribuite (né da altri, a dire il vero). Semplicemente nell’articolo a cui i titoli sono collegati quelle frasi non ci sono.

Chiunque abbia un minimo di esperienza di vita in redazione riconosce varie tecniche: dal senso del pensiero di qualcuno (come nel caso delle interviste a Gentiloni e a Kurz) a un fatto trasformato in dichiarazione (l’occupazione a rischio alla Stefanel e l’inchiesta Sacchi), convinti che mettere qualcosa tra virgolette dia più forza all’articolo, alla trasformazione in un virgolettato di una propria convinzione (l’ordinanza di archiviazione del giudice di Velletri non dice che le notizie sono tutte vere), a un’improbabile “ricerca scientifica” che parla per cercare di riassumere l’opinione di varie persone.

Non ho fatto ricerche comparate con altre nazioni, ma sicuramente rispetto agli Stati Uniti esiste in Italia un uso molto più diffuso dei virgolettati nei titoli. Sarebbe soltanto una questione di tecnica giornalistica (negli Stati Uniti le scelte di scrittura fanno comunque parte dell’etica, anche se non esiste una “deontologia di Stato” come in Italia) se non ci fosse di mezzo quella consuetudine di mettere tra virgolette frasi che non sono mai state pronunciate da nessuno. Questa diventa una pesante questione deontologica, sia in Italia sia all’estero: pubblicare dichiarazioni mai fatte è grave, come può capire chiunque, giornalista o non giornalista che sia. Poi, naturalmente, esistono casi più lievi (il riassunto del discorso vero di qualcuno) e casi più gravi (le invenzioni deliberate per dare maggior forza a un articolo).

Restando in Italia, non so se qualche consiglio di disciplina si sia mai occupato di dichiarazioni mai pronunciate e non so se qualche azienda abbia mai deciso di aprire procedimenti disciplinari contro giornalisti che, con quelle invenzioni, danneggiano la credibilità della testata. Ma la punizione non è l’aspetto che mi interessa di più: quello che è importante è che si capisca che inventare dichiarazioni è grave, molto grave: il giornalismo non è fiction né rappresentazione del verosimile.

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